NEW YORK

LUCIANO LUCANIA

ALIAS LUCKY LUCIANO

Il soprannome "Lucky". Tale soprannome gli venne attribuito in seguito ad una vicenda accaduta il 16 ottobre 1929: alcuni uomini non identificati lo accoltellarono più volte e lo lasciarono in una spiaggia di Staten Island con la gola squarciata, credendolo morto, ma Luciano si salvò, e da allora venne chiamato "Lucky", ovvero "il fortunato".

AUDIOLIBRO

Il Benvenuto de Lo Strillone del Ciao Rino Club

LUCKY LUCIANO

IL FILM - 1978

Il Giornalista Lucarelli ricorda a tutti noi in una sua trasmissione che fu lui il primo a coniare il termine "cosa nostra" durante una fugace ma concisa telefonata con il cugino in sicilia, sotto il controllo di Ufficiali della Marina Militare Statunitense, che da li a poco organizzarono lo sbarco in Sicilia, senza colpo ferire, ma solo in parte.

A SABOTARE FUORONO GLI UOMINI DI LUCKY LUCIANO,

DEI GANGSTAR CHE REGNAVANO NEL PORTO DI NEW YORK.

L'arrivo del Normandie nel Porto di New York

Il ventennio tra le due guerre mondiali , fu caratterizzato da un’accesa rivalità , tra gli Stati con la più prestigiosa tradizione marinara per l’acquisizione del potere marittimo nel trasporto passeggeri , tra le sponde dell’Oceano Atlantico, ovvero tra il vecchio continente ed il nuovo New World - USA. Inghilterra, Italia, Francia e Germania furono i grandi protagonisti di una stagione che toccò l’apice più alto della Storia Marinara di tutti tempi con la costruzione da parte della Francia de La NORMANDIE della CGT (Compagnie Générale Transatlantique) la quale, aveva misure di stazza, lunghezza e larghezza, che erano simili a quelle attuali nelle dimensioni, ma erano disegnate con gradevolissime linee archittetoniche. Dietro la costruzione della NORMANDIE ci fu evidentemente una componente politica di "Grandeur" alla Francese che fece da cassa di risonanza in tutta Europa, dove orgoglio e rivalità reciproche innescarono risposte e progetti di nuove costruzioni quasi immediate.La Normandie venne a costare complessivamente 60 milioni di dollari. Tuttavia il colossale Transatlantico s’impose subito e con prepotenza sulla scena mondiale:

strappò il nuovo record del Nastro Azzurro durante il viaggio inaugurale, coprendo la tratta New York-Le Havre. La velocità di crociera media mantenuta dalla nave durante la sua prima uscita ufficiale era straordinaria:

30 nodi!

Lucky Luciano in Italia

DOCUMENTARIO P.1

La Normandie svolse il suo servizio sull’Atlantico per 4 anni e fu messa in disarmo durante il secondo conflitto mondiale rimanendo al sicuro nel porto di New York (vedi foto sotto). Vista la necessità di trasportare le grandi truppe militari in Europa, si pensò di spogliarlo dei suoi lussuosi arredi e trasformarlo in una nave militare. Così fu requisito dal governo Americano, che s’impegnò nell’iniziare i lavori di modifica, così da poter contare su una nave enorme, potente e veloce, fuori dalla portata dei sommergibili nemici.Il transatlantico Normandie vi rimase per due anni fino a quando, dopo l'attacco ei giapponesi a Pearl Horbor, gli Stati Uniti entrarono in guerra, requisendo la nave per convertirla ed adibirla al trasporto truppe con il nome di U.S. Lafayette. Navi di queste dimensioni potevano trasportare 12.000 soldati a viaggio ad una velocità talmente elevata che non richiedeva la scorta di navi militari.

Lucky Luciano in Italia

DOCUMENTARIO P.2

Ma i lavori andavano avanti troppo lentamente e con poca protezione, tanto che il 9 febbraio del 1942, a causa di un incidente in un primo momento ritenuto provocato dalle scintille di una saldatrice, divampò un incendio che presto si propagò a gran parte della nave. Il danno iniziò ad essere rilevante e andò rapidamente peggiorando a causa dei battelli antincendio che riempirono d'acqua la nave facendola sbandare ed infine rovesciare su un fianco. La foto (sotto) ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, é in grado di destare infinite emozioni perché era quanto di più immaginabile potesse accadere.

9 FEBBRAIO 1942 : Il Normandie è in fiamme!

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“Nei primi tre mesi dopo l'attacco a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941, gli Stati Uniti persero 120 navi mercantili a causa degli U-Boot e degli incrociatori pesanti tedeschi durante i tentativi di raggiungere le coste dell'Inghilterra". Gli U-Boot tedeschi stazionati a poche chilometri dalla Baia di Hudson , si manifestavano implacabili contro i mercantili statunitensi che colava a picco uno dietro l'altro. Ma chi dava agli U-Boot tedeschi i rifornimenti per stazionare cosi' tanto tempo lontani da casa? .."e soprattutto" chi li informava sulle rotte in uscitadai porti americani e dirette in soccorso alla volta dell'inghilterra?

Lucky Luciano in Italia

DOCUMENTARIO P.3

L'ATTACCO GIAPPONESE ALLE ISOLE DI PEARL HABOR

I Padrini di Lucky Luciano

DOCUMENTARIO

Ma torniamo un attimo ai fatti del 9 febbraio del 1942 quando un incendio si sviluppò a bordo del transatlantico francese Normandie, ormeggiato nel porto di New York dove la Marina americana lo stava allestendo per il trasporto delle truppe impegnate nella Seconda guerra mondiale. La nave, devastata dalle fiamme, si inclinò su se stessa per il peso dell’acqua con cui nel tentativo di salvarla la sommersero i pompieri. I fotografi ne immortalarono l’agonia. E i giornali, ascoltate le autorità militari e investigative, decretarono frettolosamente: sabotaggio di un gruppo di agenti nazisti infiltrati. Una sentenza che archiviò il caso. A questa versione credette anche il grande regista Alfred Hitchock che, nel giro di poche settimane dal fatto, usò l’episodio per il suo I sabotatori (1942).

Storia e Disastro del NORMANDIE

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Ci vorranno oltre cinque decenni perché, nel 2003, salti finalmente fuori la verità. Emerge dalla Biblioteca Vaticana, a chilometri di distanza, dall’altra parte dell’Atlantico. E’ in un foglietto scarno del controspionaggio Usa che, passato il tempo giusto, può essere desecretato. Quella paginetta chiarisce come da subito le autorità americane sapessero: nell’attentato al Normandie i nazisti non c’entravano nulla. Il fuoco era stato appiccato dalla mafia. Cosa Nostra voleva un’azione dimostrativa per trattare da un posizione di forza una questione delicatissima: la fine del carcere duro per Lucky Luciano, il boss dei boss. Che in effetti, dal severissimo penitenziario in cui era stato spedito a scontare cinquant’anni, venne spostato in una struttura più morbida. Pare che a trattare per Luciano si fosse mosso un altro mammasantissima, Vito Genovese.

LO SBARCO IN SICILIA CON GLI UOMINI DI LUCKY LUCIANO

Al tempo Luciano era rinchiuso nel carcere di Dannemora, per scontare una pena dai 30 a 50 anni di reclusione per aver condotto un giro di prostituzione. Per la sua collaborazione, nel maggio 1942 fu tradotto nel carcere di Great Meadows, noto negli ambienti della malavita come il country club. Le azioni intraprese da Luciano nel fermare i sabotaggi restano tuttora incerte, ma le autorità notarono come i contatti dell'avvocato di Luciano Moses Polakoff tra le figure del mondo sotterraneo del porto influenzarono i lavoratori e i loro sindacati. Nel 1946 la sentenza di Luciano fu commutata – dopo aver scontato nove anni e mezzo venne mandato nella sua nativa Italia.

MAFIA CIA GLADIO P2 GOVERNO ANDREOTTI : ITALIA 1948/92

L'operazione appena descritta, prese il nome di Underworld ("sotterraneo") e fu il nome in codice della cooperazione del governo degli Stati Uniti d’America con alcune figure del crimine organizzato dal 1942 al 1945 per controllare le spie e i sabotatori nazisti nei porti lungo la costa nord est degli Stati Uniti, al fine di salvaguardare i trasporti con i rifornimenti in partenza per l’Inghilterra”.

Arrivò a parlare con Thomas Dewey, procuratore dello Stato di New York che, sulla lotta alla criminalità organizzata e a Luciano, aveva costruito la sua carriera che lo portò l’anno dopo alla carica di Governatore. Dewey avrebbe incontrato Luciano. Dicendogli di non illudersi: niente sconti di pena, ma in quanto a un carcere più soft, si poteva parlarne. Poi ci fu l’episodio, mai chiarito, dell’impiego di Luciano in una missione segretissima in Sicilia, per preparare la strada alle truppe americane.

“Quella piccola paginetta uscita dalla Biblioteca Vaticana e di cui mi aveva parlato un amico mi ha fatto venire l’idea” racconta Vito Bruschini. Un passato da sceneggiatore, autore di oltre 300 documentari, giornalista (con Giorgio Bocca ha scritto le dieci puntate di Storia degli italiani: dall’unità al terrorismo, oltre ad avere diretto varie riviste tra cui Quark Magazine) e un presente da direttore dell’agenzia di stampa Globalpress Italia, Bruschini per la verità all’inizio non si era ancora deciso. Poi, per caso, gli capita di sentire la frase di uno straniero: “Possibile che non si facciano più romanzi come Il Padrino?”.

Scatta la molla. In sette mesi, da febbraio ad agosto del 2007, si mette alla tastiera. Ed esce il suo primo romanzo: The Father, il padrino dei padrini, quasi 500 pagine edite da Newton Compton che, a Roma all’ultima fiera “Più libri più liberi” diventa un caso, collezionando una serie di successi insperati per un’opera prima. I diritti per la traduzione vengono comprati subito da cinque paesi europei. Il libro non era ancora negli scaffali e già un regista, Alessandro D’Alatri, se ne assicurava i diritti cinematografici. “Perché mi ero innamorato di questa storia forte quando l’avevo letta ancora in bozze”. La pellicola, quasi certamente, verrà girata negli Stati Uniti. In effetti, il lavoro era stato pensato inizialmente per farne un film: un progetto che la Warner, nel 2006, aveva persino approvato.

Storia e personaggi sono inventati, si dice sempre così no? Ma, oltre all’incendio del Normandie, c’è almeno un altro episodio realmente accaduto da cui parte The Father. Negli anni Venti, a Palermo i rappresentanti delle 40 famiglie di latifondisti più ricchi dell’isola, si riuniscono preoccupati per le tensioni sociali che attraversano il Paese e allarmati dalla mancanza di rassicurazioni da parte di Roma. Danno vita all’Interprovinciale che poi sarebbe diventata la Commissione: è in nuce quello che poi sarebbe diventata la Mafia di cui tutti sappiamo.

Da qui Bruschini comincia a lavorare di fantasia ma mischiando episodi veri, tra cui il viaggio di Luciano in Sicilia. Crea un personaggio davvero inquietante: il principe Ferdinando Licata, detto U Patri, siciliano con sangue inglese da parte di madre. E’ lui “The Father”. Lo vediamo, all’inizio, tra i partecipanti più attivi alla storica riunione dei latifondisti a Palermo. Poi va a New York. Viste le sue origini, sa muoversi bene nel mondo anglosassone. Dietro l’aria e i modi da gran signore è in realtà violentissimo. E così si fa largo tra le “famiglie”.

Per certi versi Licata è il rovescio della stessa medaglia del principe di Salina. Il protagonista del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa guardava con distaccato disincanto alla rivoluzione sociale che stava mettendo fine al suo mondo. Aveva capito, come gli dice il nipote Tancredi, che “perché tutto resti come prima, tutto deve cambiare”. E lasciava fare, lui non ci pensava proprio a sporcarsi le mani. Il principe Licata, invece, sì. E i suoi massacri, orge di sangue sparso con fredda crudeltà, vengono raccontati da Bruschini con uno stile quasi piatto, da colloquio tra amici al bar. Amici che, però, si raccontano storie tremende.

Saranno pure 500 pagine ma si leggono veloci. Perché, seguendo gli intrighi e le carneficine si capisce come è stata ideata, costruita e consolidata la Cupola. E Licata è sì, davvero, il padre e capofila di quei padrini a cui poi ci ha abituato la cinematografia di Hollywood.

Dalla lettura si ricava pure un’impressione che, se non si trattasse di vicende terribili, farebbe persino sorridere: forse anche la criminalità organizzata è soggetta ai corsi e ricorsi storici. Ciò che quasi certamente è avvenuto nel 1942 tra Cosa Nostra e la Procura di New York ricalca – anzi: anticipa – quasi perfettamente la strategia messa in atto un po’ rozzamente da Totò Riina, l’ultimo capo dei capi. Anche qui a far venire il sospetto è un altro “papello” . Non è uscito dalla Biblioteca Vaticana ma dalle tasche del figlio dell’ex sindaco palermitano Vito Ciancimino. In questo foglietto Riina, dopo le stragi del 1992, proponeva allo Stato di mettere fine agli attentati in cambio di una serie di sconti, tra cui l’alleggerimento del 41 bis, il carcere duro, per i mafiosi in prigione. A parlare della trattativa è stato lo steso procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. La storia non si ripete mai in maniera esatta. Ma, come aveva commentato l’attore Beppe Fiorello che alla fiera di Roma, seduto accanto a Bruschini e al regista D’Alatri, aveva letto alcuni passi del libro: “La realtà narrata in questo romanzo somiglia alla realtà politica del nostro paese”. Mettendo insieme la vicenda del Normandie e il “papello” di Ciancimino, è difficile non pensare al filo rosso, rosso sangue, che le unisce: la cinica consapevolezza della filosofia gattopardesca. Appunto: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Associazione Interculturale Perugia